LA PAROLA DI DIO

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LA PAROLA DI DIO

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Pubblicato da Don Nicola Patti in Lettere del Parroco · Sabato 25 Gen 2020
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LA PAROLA
DI DIO


INTRODUZIONE

Con la pubblicazione, il 30 settembre 2019, della Lettera Apostolica in forma di "Motu Proprio", di papa Francesco, "Aperuit illis", con la quale il pontefice istituisce la Domenica della Parola, si apre per la Chiesa universale la possibilità di orientare, con rinnovato vigore, una prassi pastorale centrata sulla Historia salutis, secondo quel disegno di amore di Dio che si rivela Verbis gestique.
«Aprì loro la mente per comprendere le Scritture» (Lc 24,45). È l'incipit del documento di papa Francesco. Scrive il pontefice: «È uno degli ultimi gesti compiuti dal Signore risorto, prima della sua Ascensione. Appare ai discepoli mentre sono radunati insieme, spezza con loro il pane e apre le loro menti all’intelligenza delle Sacre Scritture ».
La Costituzione dogmatica Dei Verbum sulla Divina Rivelazione è da ritenersi come una delle eredità più notevoli del Concilio Ecumenico Vaticano II. Vari fattori hanno contribuito alla riscoperta del testo biblico. Ricordiamo, ad esempio, il Movimento Biblico, quel fecondo alveo di ricerca che, sul finire del XIX secolo, ha dato nuova linfa alla Chiesa circa l’accostamento alla Sacra Scrittura. Pietre miliari che hanno segnato questo percorso di rivalorizzazione del testo biblico sono rappresentate dalla pubblicazione dell’Enciclica di Leone XIII Providentissimus Deus del 1893, dalla Costituzione della Commissione Biblica del 1902, dalla nascita dell’Istituto Biblico del 1909 e dalla pubblicazione dell’Enciclica di Pio XII Divino Afflante Spiritu del 1943 .
Non mancano oggi le iniziative nelle diocesi o nelle parrocchie, così come le opportunità offerte da movimenti e associazioni, per un costante nutrimento della vita spirituale alla luce della Parola di Dio. Tuttavia non tutte le comunità vivono, sul piano della prassi pastorale, un sistematico e graduale approccio alle Sacre Scritture.
L'ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo, insegnava san Girolamo. Per entrare nel merito di questa Domenica della Parola, che, come dice a chiare lettere papa Francesco, non è solo di un giorno, è opportuno prendere in esame gli insegnamenti della Chiesa sulla rivelazione e il rapporto tra Scrittura e Tradizione, insegnamenti che noi cattolici dobbiamo avere ben chiari, anche nella prospettiva di un fecondo dialogo ecumenico.

LA RIVELAZIONE E IL RAPPORTO TRA SACRA SCRITTURA E SACRA  TRADIZIONE

1. La rivelazione: cenni sul Concilio di Trento e sul Concilio Vaticano I

Nei documenti del Concilio di Trento non ritroviamo alcuna dichiarazione esplicita in merito alla rivelazione in quanto tale. Tuttavia, il termine rivelazione appare nel Decretum de iustificatione  del 13 gennaio 1547, precisamente nella parte Canones de iustificatione (can. 16), in cui si fa riferimento ad una sorta di rivelazione privata (ex speciali revelatione ). Nel Decretum de libris sacris et de traditionibus recipiendis  dell’8 aprile 1546, non compare la parola rivelazione il cui concetto e termine è reso tuttavia con quello di «Vangelo»:
«Il sacrosanto Concilio Tridentino […] ha sempre ben presente di dover conservare nella Chiesa […] la stessa purezza del Vangelo, che, promesso un tempo dai profeti nelle sante Scritture, il Signore nostro Gesù Cristo, Figlio di Dio, prima annunciò con la sua bocca, poi comandò che venisse predicato a ogni creatura (cfr. Mc 16,15) dai suoi apostoli, quale fonte di ogni verità salvifica e di ogni norma morale» .
In questo modo il Concilio di Trento lascia intuire il nesso esistente tra Vangelo e rivelazione . Le radicali posizioni luterane indurranno i padri conciliari, a Trento, ad affrontare il problema della Sacra Tradizione e del suo rapporto con la Sacra Scrittura. La questione trova espressione ancora nel Decretum de libris sacris et de traditionibus recipiendis. Viene respinta la teoria delle due fonti secondo la quale la rivelazione è contenuta in parte nella Scrittura e in parte nella Tradizione. Questo permette di superare altresì l’idea secondo la quale la Scrittura e la Tradizione siano fonti, quando invece occorre considerare come unica fonte la rivelazione medesima. La rivelazione è contenuta «nei libri scritti e nelle tradizioni non scritte» :
«La rivelazione, dunque, giunge a noi insieme attraverso la Scrittura e la Tradizione, di cui si sottolinea che è “non scritta”, non perché priva di testimonianze scritte, quanto piuttosto perché destinata a rimanere tale, cioè Tradizione orale, trasmissione viva, testimonianza personale ed ecclesiale della fede che accoglie la rivelazione» .
Il Concilio Vaticano I si pronuncia espressamente sulla rivelazione nella Costituzione dogmatica sulla fede cattolica Dei Filius  del 24 aprile 1870, in cui i padri conciliari affrontano il problema del razionalismo . Tuttavia le istanze dottrinali del Concilio non chiariscono alcuni fattori fondamentali, come ad esempio se il concetto di rivelazione vada inteso «nel senso di un’automanifestazione cognitiva per la mente umana o, al di là di questo, anche nel senso di una reale autocomunicazione di Dio agli uomini». In effetti sembra che il Concilio Vaticano I non colga la realtà della rivelazione come autocomunicazione di Dio. In sostanza la Dei Filius non parla di autorivelazione di Dio ma, come ritroviamo nel terzo capitolo della Costituzione (De fide), di divinitus revelata , ossia di ciò che Dio ha rivelato. Il Concilio Vaticano I non chiarisce il rapporto che intercorre tra l’autorivelazione di Dio e la rivelazione delle verità che egli fa conoscere agli uomini. La necessità assoluta della rivelazione è poi giustificata a partire dalla vocazione soprannaturale dell’uomo chiamato, come leggiamo nel secondo capitolo della Dei Filius (De revelatione), a «partecipare ai beni divini» . Secondo la Dei Filius, la rivelazione si caratterizza secondo un’istanza prettamente informativa che svela agli uomini i «misteri divini» , come emerge dal quarto capitolo della Costituzione (De fide et ratione), la «verità rivelata» , come si evince dai Canones De fide (can. 2), la «dottrina di fede» , come riscontriamo ancora nel quarto capitolo, e la «dottrina rivelata» , come ritroviamo nei Canones De fide et ratione (can. 2). La Dei Filius, ancora nel secondo capitolo, riprendendo gli insegnamenti tridentini, parla di trasmissione della rivelazione che avviene mediante gli Apostoli. Rileggendo gli insegnamenti conciliari, Joseph Schmitz annota che la rivelazione, contenuta nella Sacra Scrittura e nella Tradizione non scritta, è affidata alla Chiesa come “deposito divino” che, come tale, non può essere perfezionato, ma va solo fedelmente custodito e conservato. «Questa visuale conduce alla fine a identificare la rivelazione con il “deposito di fede affidato” o con la “dottrina di fede rivelata”» .

2. La rivelazione nella Costituzione Dei Verbum del Concilio Vaticano II

La Costituzione dogmatica sulla Divina Rivelazione Dei Verbum  del 18 novembre 1965, del Concilio Vaticano II, apporta delle novità consistenti. La rivelazione è concepita come «autocomunicazione» di Dio, non una comunicazione «concettualistica, intellettualistica, ma una rivelazione reale, personale e soteriologica» . In ultima analisi, Dio non rivela qualcosa ma se stesso motivo per cui non si tratta di possedere semplicemente dei beni divini ma, come emerge da primo capitolo della Costituzione, di avere «accesso al Padre»:
«Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelare se stesso e far conoscere il mistero della sua volontà (cfr. Ef 1,9), mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, nello Spirito Santo hanno accesso al Padre e sono resi partecipi della divina natura (Cfr. Ef 2, 18; 2 Pt 1,4)»  .
Si tratta di cogliere il valore e il significato di una parola non concettualistica che,  nell’accezione del termine ebraico dâbâr, si dice e si traduce inevitabilmente in evento. È proprio quanto insegna la Costituzione Dei Verbum laddove afferma:
«Questa economia della rivelazione avviene con eventi e parole (gestis verbisque) intimamente connessi tra loro, in modo che le opere, compiute da Dio nella storia della salvezza, manifestano e rafforzano la dottrina e le realtà significate dalle parole, e le parole dichiarano le opere e chiariscono il mistero in esse contenuto».
Il secondo capitolo della nostra Costituzione si occupa della trasmissione della divina rivelazione: «La Sacra Tradizione e la Sacra Scrittura costituiscono un solo sacro deposito della Parola di Dio affidato alla Chiesa» . Scrittura e  Tradizione non sono due entità tra loro separate:
«Le asserzioni dei santi padri attestano la vivificante presenza di questa Tradizione, le cui ricchezze sono trasfuse nella pratica e nella vita della Chiesa che crede e che prega. La stessa Tradizione fa conoscere alla Chiesa il canone integrale dei libri sacri, e in essa fa più profondamente comprendere  e rende ininterrottamente operanti le stesse sacre lettere» .
Scrittura e Tradizione hanno la stessa origine. Possiamo affermare che Sacra Scrittura e Sacra Tradizione sono costituite in un’unità originaria tant’è che tendono allo stesso fine (unità di servizio) e scaturiscono da una medesima ed unica fonte, ossia il Vangelo di Cristo (unità di contenuto) . Dato che sia la Sacra Tradizione che la Sacra Scrittura sono vie della rivelazione divina e dato che nessuna è indipendente dall’altra, sarebbe un errore voler sottomettere l’una all’altra. La Scrittura,
«è Parola di Dio in senso formale e pregnante, ma la realtà della rivelazione, cioè il dono che Dio fa di se stesso per farsi conoscere e comunicarsi, supera la Stessa Scrittura e non può essere come imprigionata in essa».
Ancora un chiarimento:
«La Scrittura, in quanto parola ispirata di Dio, possiede, nella oggettività di un testo scritto, la testimonianza normativa insuperabile della rivelazione. Ma essa prende vita là dove quello stesso Spirito che l’ha ispirata suscita la fede, che riconosce e accoglie la sua parola come parola viva di Dio. Quest’opera dello Spirito avviene nella Chiesa ed è il cuore stesso della Tradizione. Diciamo allora che, in senso ampio la Tradizione è una corrente viva di trasmissione della rivelazione comprendete sia la Scrittura che la Tradizione orale».
Proprio per il fatto di essere stata trasmessa attraverso il carisma degli Apostoli e di quelli che vissero a contatto con loro e fino ai nostri giorni con la successione apostolica dei vescovi, la parola di Dio in quanto tale, rimane lo «specchio»  luminoso della vita della Chiesa.
Se la Sacra Scrittura, leggiamo nella Dei Verbum, è stata scritta «sotto l’ispirazione dello Spirito»  ne consegue che va letta e interpretata «con l’aiuto dello stesso Spirito mediante il quale è stata scritta» . In quest’ultimo passo, la nostra Costituzione riprende un insegnamento di Benedetto XV contenuto nell’Enciclica Spiritus Paraclitus del 15 settembre 1920, in cui il papa, a sua volta, faceva riferimento alla lezione di San Girolamo.
Leggiamo:
«per ricavare con esattezza il senso dei sacri testi, si deve badare con non minor diligenza al contenuto e all’unità di tutta la Scrittura, tenuto debito conto della viva Tradizione di tutta la Chiesa e dell’analogia della fede».
Con quest’ultima dichiarazione la Costituzione Dei Verbum ci aiuta a cogliere tre criteri teologici che vanno tenuti in debita considerazione per una corretta ermeneutica della Sacra Scrittura. In primo luogo il contenuto e l’unità della Scrittura. Tale unità alla luce del Concilio Vaticano II è la rivelazione, il Verbo fatto carne, «nel quale trova compimento tutta intera la Rivelazione del sommo Dio» . L’adagio dei padri Verbum abbreviatum ci fa comprendere la funzione ricapitolatrice del Cristo: in Lui i verba multa degli scritti biblici divengono Verbum unum . Cristo «compie le Scritture e ne svela il Mistero. Egli è il messaggero e il messaggio del Padre, il Rivelatore e la Rivelazione» . Il secondo criterio è l’attenzione alla Tradizione viva della Chiesa in modo tale che la Sacra Scrittura sia interpretata nella Chiesa, poiché la Bibbia è figlia della Chiesa. La Chiesa, come insegnava Origene, porta nella sua Tradizione la memoria viva della Parola di Dio . Infine, il terzo criterio è il rispetto all’analogia della fede. Non si tratta altro che di cogliere l’omogeneità della rivelazione, sia all’interno della Scrittura che nella vita della Chiesa, ovvero, «di avere coscienza dell’unità della rivelazione e della fede della Chiesa, realtà che si illuminano insieme e sono tra loro collegate» .
La conoscenza della Scrittura è opera di un carisma ecclesiale, attraverso l’invocazione dello Spirito Santo. Papa Gregorio Magno diceva:
«So bene che generalmente molte verità della Sacra Scrittura, che da solo non sono riuscito a capire, le ho invece potute intuire quando mi sono messo in ascolto davanti ai miei fratelli».
Davvero tutta la comunità ecclesiale assume il compito profetico nella comune intelligenza e accoglienza della Parola di Dio. La lettura biblica in Ecclesia diventa così parte della Tradizione viva.
«La Scrittura presenta un racconto che viene dalla Tradizione, […] una storia che riguarda tutti. Dal racconto biblico si impara a conoscere la propria vita e quella di Dio» .
Per un autentico approccio alla Parola è necessario ribadire l’importanza dell’invocazione dello Spirito Santo che apre le menti e i cuori all’intelligenza della Sacra Scrittura. Solo lo Spirito, infatti, può mettere in luce i misteri più reconditi della Parola di Dio, «può scandagliare le insondabili profondità della rivelazione, può far scoprire i tesori nascosti del disegno salvifico divino» . Si comprende il giusto rilievo che la Costituzione Dei Verbum dà allo Spirito Santo il quale, nella Chiesa e nel mondo intero, fa risuonare la viva voce del Vangelo e introduce i credenti nella pienezza della verità. La Costituzione   individua quest’azione dello Spirito in quel dialogo di fede e d’amore fra il Padre celeste e la Sposa del Figlio suo:
«Dio, il quale ha parlato in passato, non cessa di parlare con la Sposa del suo Figlio diletto, e lo Spirito santo, per mezzo del quale la viva voce del Vangelo risuona nella Chiesa, e per mezzo di questa nel mondo, introduce i credenti a tutta intera la verità e fa risiedere in essi abbondantemente la parola di Cristo (cfr. Col 3,16)».
Il processo di adesione alla rivelazione divina avviene sotto l’influsso dello Spirito Santo:
«Gli Apostoli infatti non solo proclamarono e trasmisero ciò che avevano visto e udito nella vita di comunione con il Signore Gesù dalla loro chiamata iniziale fino all’ascensione, ma anche quanto avevano appreso per suggerimento dello Spirito (a Spiritu Sancto suggerente didicerant)».
Lo Spirito Santo, leggiamo nella nostra Costituzione, sostiene l’opera degli Apostoli «affinché predicassero il Vangelo, suscitassero la fede in Gesù Cristo e Signore e congregassero la Chiesa». Quest’opera avviene mediante la meditazione e la contemplazione delle sue gesta e delle sue parole sotto l’influsso dello Spirito Santo. Ed ancora, nel passo finale del capitolo V della nostra Costituzione, si afferma:
«Il Signore Gesù assisté i suoi Apostoli come aveva promesso (cfr. Mt 28,20) e inviò loro lo Spirito Paraclito, il quale doveva introdurli nella pienezza della verità (cfr. Gv 16,13)».
Papa Francesco nel suo "Motu Proprio" annota:
Il ruolo dello Spirito Santo nella Sacra Scrittura è fondamentale. Senza la sua azione, il rischio di rimanere rinchiusi nel solo testo scritto sarebbe sempre all’erta, rendendo facile l’interpretazione fondamentalista, da cui bisogna rimanere lontani per non tradire il carattere ispirato, dinamico e spirituale che il testo sacro possiede. Come ricorda l’Apostolo «La lettera uccide, lo Spirito invece dà vita» (2Cor 3,6). Lo Spirito Santo, dunque, trasforma la Sacra Scrittura in Parola vivente di Dio, vissuta e trasmessa nella fede del suo popolo santo .
Il processo di penetrazione e di ampliamento o specificazione della rivelazione sotto l’influsso dello Spirito non riguarda la fase iniziale ma investe e sostiene la Tradizione apostolica, accompagnando tutta la storia della Chiesa. L’approfondimento della comprensione (intelligentia) della parola divina è dunque opera dello Spirito Santo, come si evince dal seguente passo della nostra Costituzione: «Affinché l’intelligenza della rivelazione diventi sempre più profonda, lo stesso Spirito Santo perfeziona continuamente la fede per mezzo dei suoi doni».
Nel passo seguente della Costituzione  Dei Verbum emergono tre aspetti, connessi tra loro, della ministerialità della Chiesa: lo studio dei credenti, l’esperienza spirituale del popolo di Dio e la predicazione apostolica:
«Questa Tradizione, che viene dagli Apostoli, progredisce nella Chiesa con l’assistenza dello Spirito Santo; cresce, infatti, la comprensione, tanto delle cose quanto delle parole trasmesse, sia con la contemplazione e lo studio dei credenti, i quali le meditano in cuor loro (cfr. Lc 2,19.51), sia con la profonda intelligenza delle cose spirituali di cui fanno esperienza, sia con la predizione di coloro che, con la successione episcopale, hanno ricevuto un carisma certo di verità».
Il testo è indicativo nella sua stessa struttura; tant’è che laddove la nostra Costituzione parla della Tradizione di origine Apostolica che «progredisce» (proficit) nella Chiesa con l’assistenza dello Spirito Santo, si mette in evidenza che questo progresso avviene «sia con la riflessione e lo studio» (tum ex contemplatione et studio), sia con la profonda intelligenza che essi provano delle cose spirituali (tum ex intima spiritualium rerum quam experiuntur intelligentia). Fin qui il passo conciliare profila i due momenti che riguardano i credenti. Cui si aggiunge un terzo momento che è legato al carisma specifico dei Vescovi in quanto successori degli Apostoli: «sia con la predicazione di coloro i quali con la successione episcopale, hanno ricevuto un carisma certo di verità» (tum ex praeconio eorum qui cum episcopatus successione charisma veritatis certum acceperunt).
«La Chiesa», leggiamo nella nostra Costituzione, «nel corso dei secoli, tende incessantemente alla pienezza della verità divina, finché in essa giungano a compimento le parole di Dio» (donec in ipsia consummentur verba Dei).
Ancora in riferimento all’ufficio di coloro cui spetta, nella Chiesa, «interpretare autenticamente la Parola di Dio», interessante il passo conciliare in cui tale compito viene definito dalla nostra Costituzione nei termini di «Magistero vivo»:
«L’ufficio d’interpretare autenticamente la Parola di Dio scritta o trasmessa è stato affidato al solo Magistero vivo della Chiesa, la cui autorità è esercitata nel nome di Gesù Cristo. Il quale Magistero però non è al di sopra della Parola di Dio, ma la serve, insegnando soltanto ciò che è stato trasmesso, in quanto, per divino mandato e con l’assistenza dello Spirito Santo, piamente la ascolta, santamente la custodisce e fedelmente la espone, e da questo unico deposito della fede attinge tutto ciò che propone da credere come rivelato da Dio».
Ed ancora, prosegue la Dei Verbum:
«È chiaro dunque che la Sacra Tradizione, la Sacra Scrittura e il Magistero della Chiesa, per sapientissima disposizione di Dio, sono tra loro talmente connessi e congiunti che non possono indipendentemente sussistere, e che tutti insieme, ciascuno secondo il proprio modo, sotto l’azione di un solo Spirito Santo, contribuiscono efficacemente alla salvezza delle anime».
L’ascolto credente della Parola delinea il volto di una comunità in atteggiamento orante e contemplativo. Il singolo fedele, come la comunità, progredisce nell’esperienza di grazia e di rivelazione nel contatto costante e autentico con la Sacra Scrittura. Lo Spirito Santo intesse nel cuore dei credenti quel dialogo di vita sempre nuovo tra il Padre celeste e la Chiesa, Sposa del suo Figlio. L’approfondimento della Parola è dunque opera dello Spirito. Quest’azione dello Spirito che accade nella Chiesa è il cuore stesso della Tradizione. Come sancisce la Costituzione Dei Verbum, la Tradizione viva, che viene dagli Apostoli, progredisce nella Chiesa per mezzo dello Spirito Santo, con la lettura della Sacra Scrittura, la riflessione e lo studio dei credenti, con l’esperienza di vita che la Parola di Dio suscita nei cuori dei fedeli e con la predicazione dei vescovi, successori degli Apostoli, che hanno ricevuto un carisma certo di verità. La Sacra Scrittura e la Sacra Tradizione rimangono dunque lo specchio della rivelazione che segna il cammino della Chiesa pellegrina verso la patria beata.


Don Nicola Patti
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