Liturgia della domenica

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Liturgia della domenica

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Pubblicato da Don Nicola Patti in Orazione · Domenica 25 Apr 2021
Tags: IVdomenicadiPasquaannoB(Gv101118)
"Il sono il buon pastore". La parabola del pastore, quello buono, o meglio quello bello (Kalòs) ha un sostrato narrativo che ha la sue radice nella cultura di Israele. Come sempre Gesù parla con immagini e usi ben noti ai suoi interlocutori. Dopo essersi installato nella terra di Canaan Israele non ha mai dimenticato il periodo nomade dei pastori. Il fatto di passare molto tempo in luoghi isolati con il gregge permetteva ai pastori di conoscere le loro pecore. Le pecore riconoscevano la voce del pastore a cui appartenevano, che era in grado di chiamarle una per una, per nome. Dio quale vero pastore è una figura molto cara ad Israele, sicuro difensore del gregge non soltanto dai lupi ma anche numerosi animali che in effetti popolavano la valle del Giordano: iene, sciacalli, leoni e orsi. Ne consegue che l'immagine del pastore, quale figura essenziale alla sopravvivenza del gregge è immediata. Ezechiele deplora i re di Israele paragonati a pastori malvagi che pascono se stessi, sfruttano, disperdono e uccidono (Ez 34). Dio invece è pastore e guida che difende e alimenta il suo popolo (sal 80, 2; 23) "porta gli agnellini sul petto e conduce pin piano le pecore madri (Is 40, 11) . Ed ancora: "Radunerò io stesso il resto delle mie pecore da tutte le regioni dove le ho lasciate scacciare e le farà tornare ai loro pascoli; saranno feconde e si moltiplicheranno. Costituirò sopra di essere pastori che le faranno pascolare, così che non dovranno più temere né sgomentarsi; di esse non ne mancherà neppure una. Susciterò a Davide un germoglio giusto, che regnerà da vero re e sarà saggio ed eserciterà il diritto e la giustizia sulla terra" (Ger 23, 3-5). È l'annuncio del messia che sarà un vero pastore, un re secondo il cuore del Signore. L'affermazione di Gesù "Io sono il buon pastore" viene a compiere le promesse messianiche.

La figura del buon pastore di Giovanni è il lottatore che è disposto a difendere a qualsiasi costo le sue pecore. La qualità di "buono" infatti non significa tenero piuttosto vero autentico, coraggioso. Gesù contrappone la figura del buon pastore a quella del mercenario che adempie agli obblighi minimi fissati da un contratto. Anche l'immagine del mercenario è ricavata dalla vita reale. Il mercenario a cui era affido un gregge, in assenza del pastore, aveva degli obblighi ben determinati: doveva affrontare un lupo, due cani, un animale piccolo, ma poteva fuggire davanti a un leone, a un leopardo, a un orso o a un ladro. Nel suo contratto non c'era la clausola di essere disposto a sacrificare la vita per le pecore. Motivo per cui l'affermazione di Gesù che prende le distanze dal compito del mercenario è molto chiara: "Il sono il buon pastore". Il messaggio è lampante: "Io sono il buon pastore", quello bello, ovvero il pastore adatto, quello giusto, essenziale alla vita: "Il buon pastore offre la vita per le pecore".

"Il mercenario invece, che non è pastore e al quale le pecore non appartengono, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge e il lupo le rapisce e le disperde". Gesù è il pastore giusto, l'unico che ci salva dagli assalti dei lupi, ovvero dai falsi messaggi del mondo, dagli ingannatori, che ci disorientano e disperdono il cuore dei piccoli. Gesù è il pastore buono e la sua bontà consiste nel dare la parola vera: Egli è la Parola compiuta dell'amore del Padre. "Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito" (Gv 3, 16).

Le nostre comunità dovrebbero rispecchiare il cuore di Gesù buon pastore. Infatti chi ha in cuore di Cristo non fa calcoli nel servizio, non ha interessi e tornaconti come il mercenario, non si chiede dove arrivino i suoi diritti e dove finiscano i suoi doveri. Piuttosto segue la leggere dell'amore e basta. Un amore che non si ferma davanti a rischi o sacrifici. È un amore che nasce dall'intimità e si accresce sempre di più in un intimità piena. Nella seconda parte del brano, infatti (vv. 14-16) all'espressione "Il sono il buon pastore" Gesù aggiunge la nota della conoscenza, termine biblico che rileva l'intimità dell'amore umano e la conoscenza del Padre e del Figlio. Il termine indica un'esperienza profonda di unione. Se siamo entrati in comunione di vita e di amore con il Signore come la sposa con lo sposo, come potremmo staccarci più da Lui? (Cfr. F. Armellini "Ascoltarti è una festa")

Questa unione intima con Gesù, poiché è Lui che ci conosce per primo, è un unione che si allarga ai fratelli, nel dono di sé. La sorgente di questa conoscenza è il cuore della Trinità. È la conoscenza come esperienza di unione intima: "Io e il Padre siamo una cosa sola", dice il Signore. Questa stessa unità del Padre e del Figlio è posta in relazione con i suoi discepoli affinché tutti siano una cosa sola. La nota dell'unità e dell'amore è essenziale affinché il mondo creda (Cfr. Gv 17, 21). La conoscenza unisce il pastore e il gregge secondo quella conoscenza che è l'unione del Padre e del Figlio: "Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me e io conosco il Padre; e offro la vita per le pecore".

"E ho altre pecore che non sono di quest'ovile; anche qeusto io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore". Le pecore che si trovano negli ovili del paganesimo sono anch'esse oggetto dell'amore di Dio in Cristo Gesù. Ogni ovile può essere un recinto che impedisce la comunione universale, la fratellanza e l'apparteneza a Dio. La volontà del Padre è invece che siano un solo gregge e pastore.

Chiediamoci:

-Come ci poniamo davanti alla chiamata del buon pastore e alle nostre responsabilità?

-Che volto hanno oggi le nostre comunità? Il nostro annuncio, il nostro servizio pastorale di sacerdoti e laici, rivela il volto del pastore, quello bello, o è suscitato da interessi personali o elitari?


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