Liturgia della domenica

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Liturgia della domenica

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Pubblicato da Don Nicola Patti in Orazione · Sabato 01 Mag 2021
Tags: VdomenicadiPasquaannoB(Gv15118)
V domenica di Pasqua anno B - Gv 15, 1-8 ​ Io sono la vera vite e il Padre mio è il viguaiolo

Nel vangelo di Giovanni Gesù non parla mai in parabole ma in similitudini: "Io sono il pastore, quello bello", "Io sono la luce", "Il sono il pane della vita", "Io sono la vera vite" e così via. L'affermazione di Gesù, "Io sono la vera vite" (v. 1), è un linguaggio provocatorio per distinguersi da un'altra vite: Israele. Israele infatti si ritiene la vite vera.

La vite è comune coltura nel bacino del mediterraneo, fin dai tempi antichi. Molto diffusa nella Palestina ha un valore simbolico e domestico. Al di là del valore economico che poteva avere un grande vigneto, ogni famiglia ebrea aveva accanto al casa una vite che dava ombra in estate (1 Re 5,5), uva e vino. Era consuetudine, anche nel nostro territorio, tenere un pergolato nei pressi delle abitazioni. Insomma, la vite è associata alla vita, alla famiglia, alla gioia e alla festa. La vite è anche l'immagine della sposa che offre al proprio sposo la delizia del suo amore (Sl 128: "La tua sposa come vite feconda nell'intimità della sua casa").

Il Signore si proclama guardiano di questa vigna: la irriga, ne ha cura notte e giorno. Estirpa rovi e pruni e li brucia per preservare la vigna (cfr. Is 27, 2-5).

Tuttavia la vigna-Israele, piantata sul terreno fertile di una collina, cominciò a produrre uva acida (Is 5, 1-4). Dio prende allora una decisione dolorosa ma necessaria: "Toglierò la sua siepe e si trasformerà in pascolo; demolirò il suo muro di cinta e verrà calpestata. La renderò un deserto, non sarà potata, né vangata e vi cresceranno rovi e pruni: alle nubi comanderò di non mandarvi la pioggia" (Is 5, 5-7).

L'affermazione di Gesù, Io sono la vite vera, richiama il testo di Ger 2,21: "Io ti piantai come vite fruttifera, tutta vera; come hai potuto cambiarti in amara, o vite straniera"?

Nel vangelo di oggi Cristo non è la vite scelta e piantata da Dio, poiché egli è il Figlio unigenito, generato non creato. Gesù si rivela come la vite vera ("Io sono") e l'accento è posto, da un lato, sui tralci (i discepoli) e, dall'altro, sull'agricoltore (il Padre): "Il Padre io è il vignaiolo" (v. 1). "Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto" (v. 3).

I tralci sono oggetto dell'amore del Padre e del Figlio nel dono dello Spirito.

Non dobbiamo prendere alla lettera le parole di Gesù dal momento in cui non sta illustrando una lezione di viticultura. In entrambi i casi (togliere o potare) non descrivono un'azione di minaccia di un Dio che viene ad eliminare i tracci più deboli e improduttivi, o ad emarginare i cristiani tiepidi o incoerenti con la loro fede . Dio infatti predilige i deboli, ama i peccatori.

Potare (purificare) e tagliare non sono immagini delle ritorsioni da parte di Dio nei confronti dell'uomo, piuttosto delle premure. I rami secchi non rappresentano gli individui che si comportano in modo poco edificante, ma le miserie, le infedeltà, le debolezze, i piccoli e grandi peccati presenti nel migliore dei discepoli. Nessuno è perfetto e tutti hanno un costante bisogno di purificazione.da Dio, poiché egli è il Figlio unigenito, generato non creato. Gesù si rivela come la vite vera ("Io sono") e l'accento è posto, da un lato, sui tralci (i discepoli) e, dall'altro, sull'agricoltore (il Padre): "Il Padre io è il vignaiolo" (v. 1). "Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto" (v. 3).

I tralci sono oggetto dell'amore del Padre e del Figlio nel dono dello Spirito.

Non dobbiamo prendere alla lettera le parole di Gesù dal momento in cui non sta illustrando una lezione di viticultura. In entrambi i casi (togliere o potare) non descrivono un'azione di minaccia di un Dio che viene ad eliminare i tracci più deboli e improduttivi, o ad emarginare i cristiani tiepidi o incoerenti con la loro fede . Dio infatti predilige i deboli, ama i peccatori.

Potare (purificare) e tagliare non sono immagini delle ritorsioni da parte di Dio nei confronti dell'uomo, piuttosto delle premure. I rami secchi non rappresentano gli individui che si comportano in modo poco edificante, ma le miserie, le infedeltà, le debolezze, i piccoli e grandi peccati presenti nel migliore dei discepoli. Nessuno è perfetto e tutti hanno un costante bisogno di purificazione.

La distinzione tra buoni e cattivi ha poco senso (che è quella che noi facciamo sempre). Ovviamente noi siamo i buoni gli altri sono i cattivi. Chi vede rami secchi solo negli altri è come quel tale che scorge la pagliuzza nell'occhio del fratello e non si rende conto della trave che c'è nel suo (cfr. Mt 7,4). Gesù piuttosto curava i lebbrosi (Mc 1,41) ed era l'amico dei pubblicani e dei peccatori (Mt 11, 19).

In cosa consiste dunque l'azione del potare (purificare) e tagliare? È l'azione della parola. "Voi siete già mondi (puri), per la parola che vi ho annunziato" (v. 3). Le nostre facoltà spirituali sono infatti purificate, rafforzate e illuminate dallo Spirito Santo secondo quanto annuncia la Parola (cfr. G. Bellia).

Durante l'ultima cena, Gesù disse ai discepoli: voi siete puri, ma non tutti (Gv 13,10). Gesù si riferisce a Giuda, quel discepolo che non si lascia mondare mente e​ cuore dalla parola di Dio. Il peccato di Giuda è l'ipocrisia, egli dissente dagli insegnamenti e dai segni che Gesù compie ma rimane lo stesso nel gruppo dei discepoli, percorrendo un itinerario che non condivide; ha una visione di messia che differisce oramai dalla realtà che Gesù sta inaugurando con la predicazione del Regno dei cieli; è legato ancora alle autorità giudaiche cui consegna Gesù; rimane nelle sue idee e perisce. Al contrario il confronto con la persona di Gesù e con la sua parola costituisce una continua e necessaria potatura. "Questa parola è più tagliente di una spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello Spirito..." (Eb 4, 12). Non c'è angolo oscuro o segreto del cuore che sfugga alla sua luce, non c'è ombra di morte che essa non dissolva. La parola purifica: indica i rami che vanno eliminati affinché i tralci si rafforzino; permette di contenere l'eccesso di germogli improduttivi e fogliame che impedirebbero ai raggi dello Spirito di portare il frutto a maturazione (cfr. F. Armellini).

Pur comportando un aspetto doloroso, essendo svolta dal Padre, quest'opera purificatrice è sempre motivo di gioia; le mani di Dio feriscono solo per risanare (cfr. Gb 5, 17). "È per la vostra correzione che voi soffrite. Dio vi tratta come figli, e qual è il figlio che non è corretto dal padre?" (Eb 12,7).

Rimanete in me e io in voi (v. 4). Per ben sette volte ritorna il verbo rimanere. Essere costanti e non staccarsi dalla vite non è semplice. L'atteggiamento del rimanere è fondamentale, ma non è scontato. Tutto si gioca lì. Molti si staccano dalla vite. Se il discepolo sceglie di rimanere e dimorare in Cristo - "Maestro, dove ​ dimori?", chiedono i discepoli. Disse loro: "venite e vedrete" (Gv 1, 38-39)- alla fine il frutto è garantito. Chi si stacca dalla vite viene gettato via e si brucia (cfr. v. 6) perché ​ il legno secco della vite è senza valore, inutilizzabile per creare anche un semplice suppellettile. Neanche la cenere di questi tralci bruciati può servire a qualcosa (nell'antichità la cenere serviva per fornire la lisciva ai lavandai; la cenere della vite non è adatta neanche a tale scopo). Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà dato (v. 7). Gesù invita alla fiducia, alla preghiera.

"In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli (v. 8). A vantaggio di chi vengono prodotti i frutti? A gloria del Padre. Il cristiano non produce opere d'amore per se stesso. Il frutto consiste nel portare a Gesù molti che credono in Lui. La glorificazione del Padre consiste nel dilatare la sua paternità (cfr. G. Bellia).


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